Il senso della “B”
Dal 15 Aprile Pragmetica SB è certificata B Corp. Che senso ha?
In questo articolo parliamo di:
Le nostre origini
Pragmetica SRL nasce nel 2019 da subito come Società Benefit. 4 soci, di cui 2 operativi, uno a Bologna e uno a Roma. Non giovani, più vicini ai 60 che ai 50.
Nel 2008 nasce il nome, la parola “Pragmetica”, che mette al centro la necessità di coniugare pragmatica ed etica. L’azione pragmetica è quella che incide concretamente nella realtà materiale causando un cambiamento che va in una direzione etica.
La Pragmetica è (sarebbe – sarà?) la scienza che si dedica alla ricerca della coniugazione ottimale tra intenzione etica e effetti materiali positivi.
Le (sinora abbastanza poche) parole usate sin qui sono più che sufficienti per aprire lo spazio alla domanda: “Cosa è etico?” che può, nella nostra visuale, essere ricondotta a un’altra: “Cosa è buono?” Non siamo certo i primi ad esserci fatti queste domande, e non è nostra intenzione affrontare qui le questioni su un piano accademico: in questo emerge il tratto forse fondamentale del purpose di Pragmetica: la ricerca di una via del centro tra le polarità che ci sembra di osservare un po’ ovunque: estremizzando, da un lato quelle persone (e le realtà da essi create) che le cose la fanno, e le sanno fare bene, generando tanti effetti per tante persone, senza troppo interrogarsi sul perché stanno facendo quello che stanno facendo, e dove porta; dall’altra, quelle altre persone (e le realtà da essi create) che le cose le pensano, le meditano, le valutano in tutti i loro infiniti aspetti valoriali, salvo che, poi, quelle cose, non le fanno o, se ci provano, non sono capaci di farle bene. Va da sé che il mondo economico è prevalentemente il risultato dell’azione di persone del primo tipo, chiamiamoli i pratici, mentre il mondo della cultura è prevalentemente il risultato dell’azione di persone del secondo tipo, chiamiamoli gli studiosi.
Messa così potrebbe sembrare una relazione sinergica, complementare e foriera di ricchi e stupendi frutti: personalmente mi auguro che presto lo sarà. Oggigiorno è evidente che le istanze economiche stanno sopra a tutto il resto, quindi il nostro mondo, la nostra vita sociale dipendono prevalentemente dall’azione dei pratici, e quando vengono a galla i frutti dell’azione degli studiosi, il più delle volte ne lamentiamo gli effetti negativi, proprio per la già citata difficoltà che costoro usualmente hanno nel raccordare conoscenza e azione.
Ma è ovvio che un’azione senza sufficienti conoscenze difficilmente può essere foriera di buoni effetti per il sistema in cui si inserisce.
Noi, la via del centro la cerchiamo, e non sempre la troviamo, perché, come tutti, abbiamo una nostra tendenza al riguardo, che è quella degli studiosi (sennò mica ci saremmo messi a scrivere questo articolo…).
Tornando alla domanda “Cosa è buono?“, beh una risposta qui ce la siamo data: È buono ciò che contribuisce a rendere gli individui più liberi.
Su questo tema, quello della libertà, le nostre radici ci hanno portato a individuare due pilastri: da un lato la conoscenza scientifica del funzionamento del cervello, dall’altro la conoscenza scientifica dello spirito. Sappiamo che spirito è una parola nella nostra cultura ancora molto difficile da usare senza imbattersi in forti credenze e pregiudizi. Abbiamo tuttavia da subito deciso di metterla in campo. Approfondire questo tema ci porterebbe molto lontano e non è nostra intenzione farlo qui. Nel nostro blog diversi altri articoli si riferiscono al tema dello spirito. Ci limitiamo a cercare di chiarire qui che con il termine spirito intendiamo riferirci a quel particolare processo che fa sì che l’individuo umano abbia la tendenza a portare attenzione (e a dare nomi) ad oggetti che non sono materialmente percepibili e abbia la capacità di inserire innovazioni nel flusso degli eventi materiali, innovazioni derivanti dall’utilizzo intenzionale delle capacità intellettuali. Che a questo spirito riconosciamo o no ontologicamente una realtà è una grossa questione, e proprio per questo non la affrontiamo qui (anche se, essendo degli studiosi, ne avremmo piacere).
Ricapitolando, Pragmetica è nata dall’impulso di fare il bene cercando di aiutare gli individui ad attuare la loro potenzialità di libertà, e visto che la vita degli individui è sempre più in relazione con le dinamiche organizzative (rispetto alle quali possono essere clienti, collaboratori, fornitori o proprietari), questo richiede migliorare la vita delle organizzazioni e la loro capacità di soddisfare le aspettative di coloro che ne hanno degli interessi . Al centro c’è quindi il tema del cambiamento (intenzionale e consapevole) quindi, alla base, il tema dell’apprendimento.
Per intenderci, il profitto è solo un ‘di cui’ di questa visione generale, anche se ovviamente un’azienda che non faccia profitto è usualmente destinata a chiudere.
Per Pragmetica il tema del bene comune è fondativo. Benefit si riferisce al concetto di bene comune, la B di B Corp sta per Benefit.
Non desta pertanto meraviglia che abbiamo voluto, appena possibile, ottenere la certificazione B Corp.
Il processo di certificazione
Può sembrare bizzarro, ma il nostro processo di certificazione B Corp è iniziato dopo avere cominciato a supportare come consulenti i processi di certificazione B Corp di un certo numero di nostri clienti. Come mai? Come vi dicevamo, Pragmetica è nata nel 2019 e nei primi tempi ha cercato di portare sul mercato un servizio di consulenza concepito per lo sviluppo delle PMI attraverso la responsabilizzazione dei lavoratori ed il miglioramento delle dinamiche organizzative e relazionali interne, tutto questo con una piattaforma e una modalità completamente online. Il progetto non ha avuto il successo auspicato.
Nel frattempo l’attività di supporto alla certificazione di alcuni clienti si svolgeva, ma amministrativamente, per motivi legati ad accordi precedenti (notazione pragmetica), veniva ricondotta ad una ragione sociale diversa. In più, per sostenerci economicamente , si sono svolte con Pragmetica attività consulenziali di altro genere, anche non in linea con il purpose sopra citato. È stato un approccio, anche qui, pragmetico: la migliore mediazione tra il desiderabile e il possibile, stando pronti a cogliere future auspicate occasioni. Si consideri anche che tutto questo, da pochi mesi dopo la fondazione dell’azienda, è avvenuto in epoca Covid.
Poi è arrivata la nuova fase: dall’inizio del 2021 abbiamo colto un deciso cambiamento nel mercato, con la sensazione che si aprisse l’opportunità di acquisire clienti proponendo il servizio di accompagnamento alla transizione sostenibile. Abbiamo deciso di investire risorse economiche in campagne di web marketing, mentre qualche cliente si affacciava per passaparola. Abbiamo organizzato dei webinar: gente ne arrivava, con qualcuno si aprivano trattative.
Non appena l’attività dell’azienda ha cominciato ad essere più attinente al nostro purpose, abbiamo preso fiducia e iniziato a lavorare per migliorare il nostro rating d’impatto. Può sembrare strano, ma per un’azienda che con due soci operativi ha un fatturato di 70/80.000 euro, senza lavoratori, senza una sede fisica, ‘fare punti’ al BIA non è poi così semplice.
Se ci siamo riusciti è perché, evidentemente, abbiamo dato priorità a questo progetto e lo abbiamo portato avanti con determinazione, dedicando tempo ed energia, anche quando la situazione avrebbe suggerito di dedicarsi ad attività più ‘produttive’ nell’immediato.
Se lo abbiamo fatto non è perché siamo sulla via della santità, ma piuttosto perché ci siamo rapportati alla questione in senso anche strategico. Ha poi sicuramente inciso, nel nostro caso, un aspetto valoriale, di forte passione per il tema dell’innovazione sociale.
Abbiamo depositato la domanda di certificazione a Novembre 2021 e lo abbiamo fatto assumendo consapevolmente il rischio di vedere rifiutata la nostra tesi che richiedeva di forzare una regola del BIA. Nella sostanza, per anticipare di qualche mese la data della presunta certificazione, abbiamo deciso di non attendere il momento in cui l’ultimo esercizio chiuso sarebbe stato il 2021, quello in cui la nostra attività ha finalmente aderito al nostro ‘purpose’, ma anticipare al momento in cui avevamo, nei 12 mesi precedenti, un’attività (fatturata) prevalentemente con questa caratteristica. Anche questa è stata una decisione pragmetica: assumere il rischio di dover rinunciare al Grande Successo (o almeno grande gratificazione) per avere un successo in tempi più brevi, in un mondo (e un mercato) che viaggia, in questo ambito, a grandissima velocità. Via del centro.
È finita che abbiamo presentato un BIA con punteggio 125 e c’è stato certificato un rating ‘solo’ di 84 in quanto, come si sarà capito, il tentativo di forzare le regole del B Lab è fallito, quindi non sono stati riconosciuti i (molti) punti che sarebbero venuti dal Modello di Business d’Impatto, che, nei fatti, stiamo assolutamente praticando: il miglioramento dell’impatto socio ambientale dei nostri clienti.
Possiamo pertanto dire che questi 84 punti ci stanno un po’ stretti e ci sarebbe piaciuto tanto ‘laurearci’ con più di 100, ma pragmeticamente, abbiamo valutato preferibile, in senso strategico, avere una onesta certificazione oggi piuttosto che una meravigliosa tra 6/8 mesi.
Il ragionamento potrà sembrare strano, ma per una realtà piccolissima come la nostra, senza risorse finanziarie da investire e con risicatissime risorse umane da dedicare a tutti gli aspetti della vita aziendale, anche questi pochi mesi di miglior marketing possono fare la differenza.
La visione per il futuro
Il senso della “B” richiamato nel titolo per noi è molto chiaro.
Un futuro desiderabile per l’umanità, un futuro in cui i bisogni, i desideri e le aspirazioni materiali e immateriali (ad es. mangiare cibo sano e gustoso, avere sicurezza, vivere una vita ricca e piena, godere della bellezza, svolgere un’attività non in conflitto con i propri valori umani e morali) possano essere soddisfatti per se stessi e per le persone che ci circondano, fisicamente vicine e lontane, si può perseguire solo cambiando il modello di sviluppo che ha preso piede dall’epoca della industrializzazione e assunto forme sempre più estreme, in virtù degli enormi poteri ricavati grazie ai progressi tecnologici.
L’azienda Benefit, quella che si dà l’obiettivo di generare bene comune mentre fa profitto bilanciando queste due finalità, è lo strumento che ad oggi meglio incarna la possibilità di cambiare il nostro modello di sviluppo.
Come tutti i fenomeni umani, anche la diffusione delle Società Benefit e delle B Corp non sarà certo scevra di incoerenze e scandali, ma non possiamo che confidare nel fatto che l’insistenza sui temi della sostenibilità, magari all’inizio prevalentemente o esclusivamente a parole, nel tempo creerà una nuova diffusa mentalità operante che renderà normale responsabilizzarsi per il bene comune e bizzarro non farlo. Verrà il tempo, lo speriamo e lo crediamo, in cui chi opera nella vita economica senza una compiuta responsabilità sociale e ambientale verrà immediatamente riconosciuto e guardato come un soggetto dal quale la comunità deve trovare ogni mezzo per proteggersi, rendendolo incapace di nuocere.
A questa auspicata condizione è impensabile arrivare in modo rivoluzionario e in tempi brevi. Il processo non può che essere graduale. Si tratta di modificare consuetudini, abitudini, prassi, cose date per scontate fino a oggi.
Alla radice della transizione
Alla base di questa trasformazione sta un diverso bilanciamento tra due ‘posture attive’ che l’individuo umano assume nel contesto economico: il dare e il prendere. L’accumulazione di capitale è il sintomo conclamato di uno sbilanciamento tra dare e prendere, ma nonostante questo continua ad essere l’obiettivo agognato da molti.
Noi crediamo sia giunto il momento di avere il coraggio di mettere radicalmente in discussione questo principio, e di farlo in positivo: se fin qui si è mitizzata le attrattività del prendere e dell’accumulare, è ora di iniziare a sperimentare la inesauribile bellezza del dare.
La vita economica è fatta di scambio di valori: se diamo valore, chi lo riceve sentirà giusto e bello ricambiare. Non è una favola, e da questo fondamento umano può è deve nascere la nuova economia che assolva il suo compito di soddisfare al meglio i bisogni e i desideri di tutti, non solo o prevalentemente quelli di pochi piu abili o privilegiati, come accade ora.
Magari non ci avete mai pensato: ipotizziamo che ognuno dia di più; il risultato – potremmo dire matematico – sarà che ognuno riceverà di più.
Mano a mano che cambia gradualmente l’atteggiamento di base, le soluzioni tecniche per rendere questo nuovo sistema ‘funzionante’, aspetto di cui non si intende assolutamente negare la complessità, potranno essere concepite, messe alla prova e affinate.
Le Società Benefit e le B Corp, nella misura in cui prendono sul serio la loro denominazione, sono un laboratorio in cui le persone cercano di interiorizzare e tradurre in pratica quotidiana un nuovo modo di rapportarsi alla vita economica.
La sostenibilità, di cui sempre più si parla e alla quale è più corretto riferirsi con la locuzione sviluppo sostenibile, prenderà forza e consistenza nella misura in cui noi homo sapiens riusciremo a governare i nostri meccanismi di attenzione, che in molti casi sono ancora dipendenti dalle parti meno evolute del nostro cervello, trasformandoli nella direzione di una maggior responsabilizzazione sugli effetti sistemici del nostro agire economico, invece di concentrarci esclusivamente o prevalentemente sul nostro tornaconto più o meno immediato
Si tratta di una grande sfida, ma probabilmente non c’è null’altro che meriti maggiore impegno per vincerla, visto che da questo dipende il futuro dell’umanità.