Cos’è una azienda sostenibile italiana e perché dovresti diventarlo
Cosa significa ‘sostenibile’?
Qual è la prima cosa che ti viene in mente se pensi alla sostenibilità? Probabilmente Greta Thunberg, o forse i ghiacciai che si stanno sciogliendo, o gli eventi climatici estremi sempre più frequenti. Ok, questi sono aspetti di una delle dimensioni della sostenibilità, quella ambientale. E il collegamento è senz’altro comprensibile, in quanto la gravità della situazione del pianeta rispetto al cambiamento climatico fa sì che sia diventato un argomento quasi onnipresente nelle comunicazioni di ogni tipo. Quindi, nell’uso comune, ‘sostenibilità’ si potrebbe dire che abbia preso il posto di ‘ambientalismo’ o di ‘ecologia’.
In realtà il concetto di sostenibilità è più ampio. Poggia infatti su tre pilastri, tra i quali non è lecito stabilire un ordine. Uno lo abbiamo appena incontrato: quello ambientale. Poi c’è quello sociale e infine quello economico. Tra l’uno e l’altro di questi pilastri ci sono piccole o grandi interdipendenze. Ad esempio, una migliore educazione e istruzione (sociale) porta a sviluppare lavoro e capacità produttive (economico) e a una procreazione più consapevole, cioè calo del tasso di natalità e conseguenze positive per la riduzione della sottrazione di terra alle foreste per coltivare e produrre cibo (ambientale). Analogamente, la ricerca di maggiore profitto (economico) porta allo sfruttamento delle risorse naturali (ambientale) e dei lavoratori (sociale).
Questa interdipendenza rende assolutamente necessario, quando si entra in tema di sostenibilità, assumere uno sguardo e un pensiero ‘sistemico’, cioè in grado di considerare l’insieme dell parti in causa e, soprattutto, gli effetti che la variazione di una di esse determina sulle altre. Farlo in molti casi non semplice né facile, in quanto l’insieme dei collegamenti (positivi e negativi) esistenti tra le variabili ambientali, sociali ed economiche dei contesti rende a volte estremamente complessa la valutazione necessaria per stabilire quale possa essere la soluzione migliore ad un determinato problema, laddove ‘migliore’ deve, appunto, tenere conto delle conseguenze nei tre diversi ambiti. E, come se non bastasse, la valutazione degli effetti in ottica sostenibile va fatta sul breve, medio e lungo termine! Un vero grattacapo! Peraltro non più evitabile o procrastinabile, visto lo stadio di criticità in cui si presentano oggi molti dei fattori sotto esame. Quali sono questi fattori?
Prima di rispondere a questa domanda facciamo un passo indietro e andiamo a definire in modo puntuale il concetto di sostenibilità.
Per farlo, percorrendo la storia degli eventi che hanno segnato l’introduzione di questa parola nel linguaggio socio-economico, incontriamo l’espressione ‘sviluppo sostenibile’. Questo ci suggerisce che la necessità della sostenibilità nasce dalle ‘interferenze’ che lo sviluppo dell’umanità ha portato all’equilibrio complessivo che il pianeta su cui viviamo ha avuto sostanzialmente fino a non tanto tempo fa. Praticamente fino a quando non è iniziata la rivoluzione industriale. Da quel momento il cambiamento piuttosto lento e graduale che aveva caratterizzato sino ad allora la presenza dell’uomo sul pianeta, si è trasformato in uno sviluppo sempre più accelerato e bisognoso di energia, con tutte le conseguenze che ciò ha comportato a livello economico e anche sociale.
Ed è proprio in tutto ciò che ha a che fare con l’energia, che si trova una delle chiavi principali dell’intera sfida sostenibile. L’uomo, per produrre energia, ha infatti iniziato a consumare quantità sempre crescenti di combustibili fossili, prima il carbone, poi il petrolio e il gas naturale. Tra sviluppo e consumo di energia c’è stato sinora un collegamento strettissimo, e questo ha comportato l’impoverimento delle riserve di combustibili fossili: copiose ma non infinite e, soprattutto, non rinnovabili. Contemporaneamente, l’utilizzo dei combustibili fossili per produrre energia ha causato l’emissione in atmosfera di inquinanti, di CO2 e altri gas che causano l’effetto serra.
L’ingannevole cambiamento climatico
Quest’ultimo fenomeno, in un modo che potremmo dire ingannevole, è quello che ci mette di fronte alla sfida con maggiore carattere di urgenza: il cambiamento climatico. Perché ingannevole? Mentre in molti casi gli effetti dell’inquinamento sono percepibili, con la loro negatività, nei luoghi in cui viene prodotto (p.es. smog), le conseguenze del cambiamento climatico possono prodursi molto lontano dai luoghi da cui deriva l’emissione dei gas climalteranti, ad esempio ai poli, o nei ghiacciai di alta montagna. Questo fa sì che il ‘problema’ non sia evidente dai luoghi in cui viene causato, quindi venga sottovalutato, se non completamente ignorato, e addirittura ci si illuda che il problema non esista, in quanto non si percepiscono (ancora) gli effetti negativi.
Il nostro pianeta ha avuto, dopo l’ultima glaciazione, un ‘magico’ equilibrio per quanto riguarda lo scambio energetico: tanta energia ricevuta dal sole, esattamente altrettanta dispersa attraverso l’atmosfera. Con l’aumento dei gas che causano effetto serra (impediscono al calore di disperdersi) l’atmosfera aumenta di temperatura. Questo causa lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari e, visto l’accumulo di energia in atmosfera, l’aumento dei fenomeni atmosferici estremi.
Ma esaurimento dei combustibili fossili e effetto serra non sono gli unici problemi determinati dallo sviluppo. Aumento della popolazione, con conseguente necessità di maggiore disponibilità di risorse (cibo, acqua potabile, di nuovo energia), riduzione delle aree forestali, inquinamento della terra, dell’aria e dell’acqua e diminuzione della biodiversità sono altre criticità indotte dal modello di sviluppo che la civiltà umana ha seguito sin qui: uno sviluppo dominato dall’idea di illimitato aumento quantitativo, quando invece l’ecosistema terrestre è un contesto limitato, per quanto molto vasto. L’osservazione di questi fenomeni porta ad una previsione che ha carattere di certezza: il modello di sviluppo basato sull’illimitato aumento quantitativo è incompatibile con la limitatezza del pianeta.
Come può lo sviluppo essere sostenibile?
Ecco che arriviamo alla definizione di sviluppo sostenibile: uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri.
Da questa definizione sembrerebbe riemergere una idea di sostenibilità totalmente ricompresa negli aspetti ambientali. In realtà le esperienze e gli studi portati avanti negli ultimi decenni hanno portato a mettere in evidenza che i fenomeni su vasta scala cui si è fatto cenno sono legati ai comportamenti quotidiani di tutti gli esseri umani. Tali comportamenti sono frutto delle condizioni di vita e tali condizioni di vita dipendono in modo considerevole da aspetti sociali ed economici (ad esempio, a oggi una quota rilevante della popolazione mondiale per motivi economici non ha accesso all’energia elettrica – l’unica che può essere a oggi veramente sostenibile). Ecco allora che per realizzare quanto espresso dalla definizione precedente occorre che vengano modificati anche aspetti della vita sociale e economica.
L’Agenda 2030 dell’ONU rappresenta i diversi aspetti dello sviluppo sostenibile attraverso i 17 macro obiettivi, denominati, appunto ‘Obiettivi di Sviluppo Sostenibile’ (in inglese Sustainable Development Goals, in acronimo: ‘SDG’)
Tutta la società umana, a tutti i livelli (politica, aziende, società civile, singoli cittadini) è chiamata a contribuire al raggiungimento dei 17 SDG.
Oggi è ‘sostenibile’ un prodotto, un’azienda, un comportamento, una iniziativa che ‘assicura il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri’. Per fare questa valutazione ci si può riferire al posizionamento rispetto ai 17 SDGs.
Cosa rende un’azienda sostenibile?
Sulla base di quanto affermato alla fine del paragrafo precedente, l’azienda è sostenibile quando è sufficientemente impegnata, oltre che nel fare i propri affari, nel contribuire alla conquista degli SDGs.
Ma dove sta la soglia (ammesso che ve ne sia una) che distingue l’azienda sostenibile da quella che non lo è? Diciamo subito che a oggi tale distinzione in molti casi non può essere fatta in modo netto e oggettivo. In particolare non esistono ancora standard e certificazioni universalmente riconosciute. Vista però la priorità che il tema ha assunto, è prevedibile che tali standard non tarderanno ad arrivare. Da qui l’opportunità, per le aziende che guardano lontano, di anticipare i tempi realizzando in azienda il cambiamento di mentalità che occorre per diventare un’azienda sostenibile.
Si tratta infatti di un cambiamento paradigmatico: scopo guida dell’azienda non è più esclusivamente il perseguimento del profitto economico, a questo si affiancano la salvaguardia dell’ambiente e la generazione di valore per tutti gli altri portatori di interesse verso l’azienda (in inglese: stakeholder) cioè lavoratori, fornitori, clienti, comunità. Ciò significa modificare in profondità il modo in cui in azienda si prendono le decisioni sul se fare, cosa fare, come farlo, quando farlo. Infatti la prima domanda su cui lavorare è ‘perché’.
Al momento, per rispondere alla domanda del titolo, potremmo dire che ciò che rende un’azienda sostenibile è la forte e profonda volontà di esserlo. Sulla base di questo aspetto, che potremmo definire un presupposto identitario, in relazione alle specificità del settore, dei processi, della propria struttura e dimensione e del rapporto con i diversi stakeholder, l’azienda dovrà intervenire per correggere condotte che provocano danni e introdurne altre che generino maggiori benefici per clienti, lavoratori, fornitori e, naturalmente, per l’ambiente e il contesto sociale in cui l’azienda è radicata, a partire proprio dagli elementi più ‘locali’.
In azienda, come negli altri contesti sociali, essere sostenibili richiede una ristrutturazione delle priorità che si attribuiscono agli obiettivi. Il fatto che di sostenibilità si parli da ben 50 anni, senza che si siano prodotte in modo sufficiente quelle correzioni al modello di sviluppo la cui necessità era già evidente mezzo secolo fa, è dovuto alla bassissima priorità che si è data sin qui al tema. Le decisioni sul da farsi sono state prese anteponendo alle istanze della sostenibilità prospettive di benefici a più breve termine. Di questo errore, se non riusciamo ad apportare sufficienti correzioni, pagheranno le conseguenze soprattutto le prossime generazioni.
Quindi, cosa rende un’azienda sostenibile? Un cambio di mentalità e approccio, di cultura aziendale, che fa sì che per ogni decisione da prendere si considerino con equilibrio non solo gli effetti economici ma anche quelli sociali e ambientali, scegliendo poi le opzioni che procurano il bilancio di effetti più favorevoli non solo nel breve, ma anche nel medio e lungo termine. Fatto questo, si tratta semplicemente di agire, di attuare le decisioni prese, ma questo è più facile.
Essere sostenibili conviene?
Per rispondere a questa domanda ci si potrebbe limitare a rispondere che Le informazioni dal mercato ci dicono che le aziende sostenibili performano meglio delle altre. Si potrebbe dubitare su quale direzione abbia la causalità: l’azienda più performante decide prima di muoversi verso la sostenibilità o diventa più performante grazie alla sua condotta sostenibile? Vi invitiamo a considerare che probabilmente la risposta non ha poi tutta l’importanza che sembrerebbe meritare: il dato è che c’è una netta correlazione tra orientamento sostenibile e successo. Non è sufficiente questo?
A confermare la previsione che il mercato vada in questa direzione basti citare il fatto che Blackrock, la più grande società d’investimento del mondo, è pronta a votare contro i consigli di amministrazione delle società di cui è azionista «se non svolgeranno progressi sufficienti in materia di sostenibilità» e non predisporranno piani industriali che puntano al rispetto per l’ambiente. Lo ha scritto l’AD del gruppo, Larry Fink, in una lettera pubblicata a gennaio 2020 sul sito del gruppo finanziario. È allora evidente che il mondo dell’alta finanza sta rapidamente virando verso la sostenibilità.
Mentre l’unione europea metteva a punto lo European New Green Deal, fortemente basato sullo sviluppo sostenibile, è arrivata la pandemia Covid-19. Questo evento, che in prima battuta avrebbe potuto significare un abbassamento di interesse nei confronti del tema sostenibilità ha invece provocato un effetto opposto (anche se non mancano forti difficoltà e contraddizioni), per cui è sempre più evidente a livello mondiale che lo sviluppo sostenibile sia un’assoluta necessità. A suggello di questa chiara direzione sono arrivati gli annunci di Cina sulla carbon neutrality e, fortunatamente, l’annunciato rientro negli accordi di Parigi degli U.S.A. con l’avvicendamento alla presidenza.
In altre parole, la sostenibilità non è più un’opzione, ed è emblematico che il 2020-30 sia denominato la Decade of Action.
Andando a questo punto più in dettaglio nell’analisi del tema, ci troviamo di fronte a una significativa differenza tra le aziende che hanno come cliente il consumatore finale (dette B2C) e quelle che hanno come clienti altre aziende (dette B2B).
Per le prime (le B2C) la sostenibilità sta diventando rapidamente un ‘must’ (e di ciò si ha una evidenza osservando la comunicazione pubblicitaria) in quanto gli studi mostrano che il consumatore finale si dichiara sempre più attento alla sostenibilità dei prodotti che acquista. E, infatti, ecco i fenomeni del greenwashing e goodwashing, operazioni con le quali l’azienda cerca, attraverso marketing e comunicazione, di conquistare una buona reputazione sul piano dell’impatto socio-ambientale, pur non avendo veramente modificato il modo di fare business: continua ad adottare come criterio decisionale esclusivamente il vantaggio economico.
Ma attenzione: con lo sconvolgimento che ha portato nel rapporto tra fornitore e cliente il mondo di Internet e dei Social, se la cosa, come è assai probabile, viene a galla, l’operazione può diventare un autogol, determinando un danno invece che un vantaggio reputazionale. Per gli stessi motivi, per una azienda B2C il disinteresse al tema della sostenibilità può causare una significativa perdita di attrattività del proprio brand. Possiamo quindi affermare che l’azienda B2C deve raccontarsi come sostenibile: è rischioso farlo senza esserlo. In futuro, quando si dovessero affermare standard o normative stringenti, un’azienda che non avesse già percorso della strada sulla via del necessario cambiamento culturale si troverebbe a rincorrere quelle che già lo hanno fatto. Quindi la sostenibilità non può non essere parte della strategia di un’azienda B2C.
E ora veniamo alle aziende B2B. L’impresa che non abbia un brand promosso verso il consumatore finale potrebbe ritenere di non avere motivi di mercato per diventare sostenibile: errore! La sostenibilità aziendale, sulla base dei sistemi di valutazione oggi esistenti (ad esempio il B Impact Assessment di B-Lab) impone all’impresa che vuole migliorare il proprio impatto di selezionare fornitori che siano a loro volta sostenibili (oppure di motivarli ed aiutarli a diventarlo).
Sarebbe molto discutibile che un’azienda potesse dichiararsi sostenibile limitandosi a ‘sistemare’ al meglio le proprie pratiche interne, utilizzando poi forniture che provengano da filiere che devastano l’ambiente, maltrattano i lavoratori e non rispettano leggi e normative. Infatti, correttamente, non è così. Quindi anche per le aziende B2B c’è ora la grande opportunità di acquisire un vantaggio competitivo migliorando il proprio impatto socio-ambientale, e diventando attraenti e preferibili per le aziende B2C migliori, quelle che, come detto sopra, sono fattivamente orientate alla sostenibilità. Ecco allora che anche per l’azienda B2B la sostenibilità è un fattore strategico chiave.
Com’è la situazione delle aziende sostenibili in Italia?
Sebbene a volte sembra che In Italia siamo piuttosto inclini a focalizzare l’attenzione più sulle nostre debolezze che sui punti di forza, su questo tema non si può davvero non vedere che costituiamo uno dei sistemi economici più attenti e proattivi nell’impegnarsi verso la necessaria transizione. Se non semplicemente il migliore.
Certo, si potrebbe obiettare che la nostra eccellenza in materia di sostenibilità aziendale sia favorita dal fatto che abbiamo poca industria pesante e chimica (più critiche per l’impatto ambientale). Ma se andiamo a vedere, ad esempio, l’agrifood, componente molto importante del tessuto economico italiano, possiamo verificare che l’impatto potenzialmente molto negativo che anche questo comparto normalmente ha, in Italia è significativamente mitigato dalla forte diffusione, nel nostro paese, del biologico.
Fatto sta che l’Italia ha una quota proporzionalmente maggiore, rispetto agli altri paesi, di aziende con certificazione SA8000 e B Corp. Inoltre, l’Italia è stato lo primo stato al mondo, dopo alcuni degli stati federati U.S.A., ad avere legiferato per dare la possibilità di qualificare un’azienda come Società Benefit, e oggi se ne contano circa 500.
Questi dati non dovrebbero sorprendere, in quanto la nascita dell’economia civile può essere individuata proprio come un riaffiorare all’epoca dell’illuminismo napoletano, verso la fino del ‘700, dei semi piantati nel suolo dall’umanesimo civile fiorentino del XV secolo. Semi che hanno poi prodotto in tempi più recenti anche germogli come lo sviluppo del movimento cooperativo e esperienze emblematiche di aziende: certamente l’Olivetti di Adriano, ma anche molte altre, fino ad arrivare ai giorni nostri, dove da un lato non mancano gli esempi di aziende che imprenditori illuminati rendono capaci di generare ampi benefici per gli stakeholder, diventando una grande ricchezza per il territorio non solo sul piano strettamente economico, dall’altro gli esempi di realtà no profit che costituiscono una fondamentale integrazione allo Stato per l’erogazione di servizi al cittadino.
Quindi sostenere che l’Italia oggi è guardata da chi si occupa di sviluppo sostenibile in giro per il mondo come l’esempio più virtuoso di tessuto economico che sta trasformandosi in ottica di sviluppo sostenibile, è semplicemente dire la verità.
Perchè diventare sostenibili?
Arrivati a questo punto, per rispondere alla domanda del titolo di questo paragrafo, si tratta sostanzialmente di riportare argomenti già trattati, che si collocano in un ampio spettro di gradazioni: da quelle più ideali e altruistiche, a quelle più utilitaristiche:
- Per imparare a pensare e a dare priorità in modo sostenibile, cosa che oggi si può ancora ritenere una opzione, ma in futuro sarà sempre più vitale
- Per guardare con fiducia ad occhi aperti verso il futuro
- Per impiegare energie e talenti verso un obiettivo che vale
- Per avere una parte attiva nell’impresa planetaria dell’Agenda 2030
- Per fare sviluppo, che nel 2021 non può essere che sostenibile
- Per far crescere un circuito economico per il momento alternativo a quello ‘tradizionale’, basato sul depauperamento dell’ambiente naturale e sociale
- Per attrarre in azienda i migliori talenti
- Per attrarre verso l’azienda i migliori clienti
- Per attrarre verso l’azienda i migliori capitali
- Per creare o partecipare a filiere virtuose sostenibili
- Per acquisire un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza
- Per non lasciarsi sfuggire le occasioni di finanza agevolata che prevedibilmente saranno indirizzate allo sviluppo sostenibile
- Per non perdere la più importante opportunità di sviluppo aziendale e anche personale dell’epoca presente
- Per non rimanere in balia dei meccanismi del cervello che lo portano solitamente a preferire l’abitudine e il non cambiamento